«Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole». Charles Baudelaire ha trasformato il viaggio in una poesia. Milioni di donne, nel mondo, lo stanno trasformando in una nuova, felice realtà. Come quelle lettrici che al sondaggio del Corriere della Sera, Ti va di dirci un momento futuro in cui sarai felice?, rispondono «Il prossimo viaggio che farò» (under 30) oppure «Quando potrò viaggiare di più» (tra i 35 e i 54); o ancora «Nel 2019, farò un viaggio in nave dalla Norvegia alle Svalbard» (over 55).
La ricerca
Scoperta, sogno, soprattutto libertà. Il viaggio è il motore che da sempre muove l’essere umano fuori dalla consuetudine. Per le donne è stato più lento e difficile conquistare quel «diritto» ad uscire dai confini del conosciuto, verso l’Altrove. Ora non si fermano più, e partono sempre più spesso – felicemente – da sole. Lo conferma la ricerca di Massimo Feruzzi della società di consulenza turistica Jfc: le cosiddette solo female traveller italiane son ben 517 mila, in costante crescita. «Per il 2018 si prevede un incremento dell’11,1%, pari a oltre 556 mila donne, capaci di generare un fatturato di 206 milioni di euro» spiega Feruzzi, che ha delineato anche l’identikit delle «viaggiatrici single»: hanno in media 32 anni, 8 su 10 parlano almeno una lingua straniera e spesso fanno le valigie lasciando a casa un compagno (il 47,8%).
Una scelta, non una necessità.
Il viaggio è un’esperienza di formazione del sé, un’occasione non soltanto di conoscere il mondo ma anche di mettere alla prova il proprio carattere, valutandone la capacità di affrontare ostacoli e di apprezzare la diversità. Un’esperienza a lungo preclusa alle donne. «Nel passato in genere si spostavano solo al seguito di uomini, strappate dalla loro famiglia e dalle loro consuetudini per affrontare realtà che spesso consideravano ostili», spiega la geografa Elena dell’Agnese, presidente del corso di laurea magistrale in Turismo, territorio e sviluppo locale all’università di Milano-Bicocca nonché vicepresidente dell’International Geographical Union. «Erano le mogli o le figlie dei funzionari coloniali, ad esempio, che hanno lasciato diari e resoconti di viaggio molto interessanti. Avevano l’occhio del subalterno che riesce ad interpretare il dolore dell’altro. Altra cosa erano però i viaggi per motivi di salute o religiosi che spesso diventavano per le donne momenti di svago, di piacevolezza e di libertà. Anche dal punto di vista sessuale». Una libertà che le donne, fin dal Medioevo, non avrebbero altrimenti mai conosciuto. Come peraltro avviene ancora oggi per molte donne islamiche che attraverso il viaggio o il pellegrinaggio godono di spazi di autonomia inediti rispetto ai limiti e ai doveri della loro quotidianità.
Il pellegrinaggio
«Fin dall’antichità, nell’ambito delle più diverse culture, anche nel chiuso delle società patriarcali, il pellegrinaggio ha offerto spesso un’opportunità di viaggio unica per le donne – conferma Marcella Schmidt di Friedberg nel saggio Turismo al maschile turismo al femminile (Cedam editore), curato da dell’Agnese ed Elisabetta Ruspini – : dall’antica Grecia al mondo islamico, dalla Cina al Giappone troviamo mete a loro riservate; sono santuari consacrati a divinità femminili, luoghi di culto dedicati alla nascita, alla maternità, alla salute, agli amori, ai desideri delle donne». Fuori da questi luoghi, il viaggio è rimasto per secoli privilegio degli uomini. Le poche pioniere, «figlie» della nuova borghesia illuminata, che osavano sfidare il costume del tempo avventurandosi da sole nel mondo, erano considerate delle poco di buono o delle eccentriche.
Le pioniere
Nel Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, viaggiare aumentava il prestigio di un uomo ma diminuiva la reputazione di una donna. Il Grand Tour d’Europa ad esempio, come scrive la politologa americana Linda Richter, «era il coronamento dell’educazione dei giovani benestanti». Maschi, ovviamente. «Per le donne l’educazione era ritenuta di poca utilità… e viaggiare da sole, senza accompagnatori ufficiali, risultava compromettente per le prospettive di matrimonio delle donne fino a metà del ventesimo secolo». Solo nel 1892 la Royal Geographic Society iniziò a discutere sull’ammissione di membri di sesso femminile. E negli Stati Uniti trascorsero altri trent’anni prima che le donne venissero accolte nell’Explorers club. Sono state le avanguardie di un nuovo movimento di donne curiose del mondo, viaggiatrici felici.
«Conoscere è uno degli strumenti più importanti dell’umanità, anche quando incontri realtà durissime, ad esempio nei Paesi più poveri del pianeta – dice dell’Agnese -. In quel momento non puoi dirti felice, ma in realtà il viaggio ti aiuta ad essere in grado di interagire con il mondo in un modo migliore». Certo, non tutti i viaggi sono uguali: «Se uno va alle Maldive, nella bolla di un resort, si porta a casa solo una felicità preconfezionata. Ma quando ti confronti, diventi consapevole. Se la possibilità di capire e crescere con la realtà un tempo era molto limitata, oggi la donna non ha più questi limiti e quindi il viaggio consente una auto-consapevolezza molto importante, un passo verso un nuovo tipo di felicità».
Le blogger
Le donne sanno anche raccontarla, quella felicità. Come dimostra il fiorire di blogger che tramite tutti gli strumenti del digital network – siti Internet, YouTube, Instagram – ispirano altre donne ad andare alla scoperta di ciò che sta là fuori, creano destinazioni e quindi fanno anche geografia («perché la geografia è prima di tutto rappresentazione», assicura dell’Agnese). Francesca «Fraintesa» Barbieri è una di loro, giramondo che condivide online le sue (dis)avventure, dall’Australia al Madagascar, zaino in spalla e tanta fame di scoprire. «Il viaggio è un generatore di felicità istantanea. Ti offre tante occasioni, tante opportunità», assicura. E tantissimi incontri indimenticabili: «La signora argentina, che alle soglie dei cinquant’anni ha venduto tutto compreso la sua collezione di scarpe, ha salutato i figli ormai grandi e ha iniziato a girare il mondo. O l’australiana di 70 anni che navigava per le isole Tiwi, nel mar di Timor, perché la sorella ormai defunta gliene aveva parlato tanto bene».
Storie normali, storie straordinarie. Perché, come diceva la filosofa rivoluzionaria Rosa Luxemburg, «chi non si muove, non può rendersi conto delle proprie catene». E di come un viaggio può dare forza a una persona. «Fraintesa» viaggia spesso sola, «anche se in viaggio da sola non sei mai». E sa che bisogna sempre avere la testa sulle spalle, evitare situazioni potenzialmente pericolose. Ma viaggiare, dice, serve anche a superare le paure: «In fondo, è molto più facile andare da soli a mangiare in un ristorante ad Hong Kong che non a Milano. Quando sei in giro con te stessa, senza vie di fuga, come un amico da chiamare, hai l’occasione perfetta per ascoltarti».
La «signora dei deserti»
È quello che insegna a fare nei suoi viaggi Carla Perrotti, la «signora dei deserti», che dal 2009 condivide la sua esperienza e la sua passione accompagnando persone comuni a conoscere il Deserto, ma «in maniera confortevole e protetta». Non proprio come ha fatto lei, insomma, prima donna ad aver attraversato da sola, con i Tuareg del Sahara, il deserto del Ténéré in Niger a seguito di una carovana del sale, nell’ottobre del 1991. Sono seguite molte altre avventure: la prima donna ad attraversare cinque deserti in solitaria (poi ne ha aggiunti altri due al «carnet»); il più duro, il Simpson Desert, nel cuore del continente australiano, con uno zaino di 25 chili sulle spalle. «La felicità è una componente del viaggio, si manifesta lungo il percorso. Ma è più che altro una situazione di equilibrio fra il mio corpo, la mia mente e l’ambiente in cui mi trovo», racconta.
Nel suo caso, è un equilibrio estremo, in cui la natura diventa alleata, «per me il deserto non può essere un avversario, un nemico da combattere – spiega -: piuttosto è un complice, quasi un amore viscerale. Io con i deserti ho sempre parlato, altrimenti non ne sarei uscita». Viaggiatrice estrema, ha scoperto che il limite non va superato ma spostato. «Ora sono nonna, ho un fisico minuto eppure vado avanti, perché riesco a trovare la forza dentro di me. E so anche fermarmi. Ci sono uomini ben più dotati di me che non ce la fanno. Non è il fisico che ti blocca, ma il limite mentale». E a questo, conclude, le donne sono più predisposte: «Si adattano meglio, non temono le brutte figure, non si scontrano con l’ambiente, cercando dentro di sé le risorse». Non è un caso che ai suoi viaggi di Desert Therapy partecipino soprattutto signore. Donne curiose, per lo più fra i 50 e i 60 anni, che hanno bisogno di una pausa, di staccare completamente dalla loro quotidianità.
Il sondaggio
Sole, in gruppo, accompagnate. Il viaggio è per tutte scoperta di terre e culture diverse ma anche, o forse soprattutto, scoperta di se stesse. Un’avventura che, in fondo, non conosce genere. Perché, come scriveva Marguerite Yourcenar, «nell’essere umano sembra esserci, come negli uccelli, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove». E in questo, uomini e donne si assomigliano. Lo dimostra anche l’ultima ricerca condotta da Booking.com fra oltre 20.000 suoi utenti di entrambi i sessi. Il 55% pensa che la cosa più bella del viaggio sia uscire dalla propria comfort zone, e anche se il 28% considera la lingua una barriera nella programmazione dei viaggi, il 62% dichiara di voler sperimentare nuove culture».
«Viaggiare è camminare verso l’orizzonte, incontrare l’altro, conoscere, scoprire e tornare più ricchi di quando si era iniziato il cammino», scrive Luis Sepúlveda. L’ultima conferma arriva da una risposta della ricerca del Corriere alla domanda «Ti va di raccontarci un momento in cui sei stata felice?». La lettrice (donna, sì) risponde categorica: «In viaggio, in giro per il mondo, sono sempre felice».
FONTE ARTICOLO: Corriere.it