Maria Perrotta
La prima immagine di sé al piano? «In realtà, è alla tastiera della fisarmonica di papà, musicista amatoriale. Mi ha insegnato lui fino ai 10 anni, quando sono entrata in Conservatorio». A 11 la prima esibizione con orchestra e oggi, a 42, Maria Perrotta da Cosenza è concertista internazionale con importanti incisioni per Decca (Bach, Beethoven, Chopin, Schubert). Però il percorso non è stato lineare: «A 16, pur continuando a studiare, ho smesso di partecipare ai concorsi: non amo la competizione e non sono brava a gestire le public relation» racconta. «Ho ricominciato a 25, dopo la nascita di Giuseppina: la maternità mi ha riconciliato con tante cose, mi ha “legato a terra” e semplificato la vita. Non ho mai sentito di dover scegliere tra la carriera e la famiglia: adesso noi donne cerchiamo noi stesse, non ci rifacciamo a un modello. Per questo non è una coincidenza che si stiano facendo strada tante pianiste: nell’Ottocento non avremmo avuto neppure la possibilità di viaggiare da sole». Né di conciliare i ruoli: la valentissima Clara Schumann, con otto figli, rimase sempre un passo indietro al marito Robert. Ma Clara e Maria hanno qualcosa in comune: l’essersi esibite al nono mese di gravidanza.
«Nel 2012 ho suonato le Variazioni Goldberg di Bach con Vittoria in pancia. È andata molto bene. Sembra un paradosso: io, che da bambina vietavo gli applausi al mio compleanno, ho scelto un mestiere in cui sono cruciali. Comunque per me la musica è passione pura, non c’è vanità: un approccio che condivido con mio marito (Lucio Prete, baritono all’Opéra Bastille, per cui si è trasferita a Parigi, ndr)».
Gloria Campaner
Tutto è iniziato con un pianoforte giocattolo rosso. Aveva tre anni e, sotto lo sguardo incredulo della madre (dove lo aveva visto fare?), sistemava le Barbie come pubblico, abbassava la luce e strimpellava. Ma alle lezioni la veneziana Gloria Campaner, 31 anni,ci è arrivata per caso: «Facevo già danza e ginnastica artistica, mi sono iscritta a una scuola di musica solo per accompagnare una mia amica timidissima» ricorda. Il seguito – in parte – è intuibile: conservatorio, inizio di una carriera da concertista che la porterà in “templi” come la Carnegie Hall. Quello che è meno immaginabile (ci figuriamo sempre le musiciste come “sacerdotesse” dedite esclusivamente al loro strumento) è l’ampiezza degli interessi, sia nel repertorio (dalla classica al jazz all’elettronica) sia nelle attività: oltre a esibirsi negli ospedali, ha sposato progetti umanitari per portare le note in realtà difficili (dalle favelas di Rio al Myanmar). «La musica è energia vitale, è un messaggio d’amore, ha allargato la mia visuale e mi ha cambiato la vita: comunicarlo agli altri dà più senso a quel che faccio» spiega Gloria, che a dicembre – ennesima prova di versatilità – girerà a Los Angeles The Butterfly Confirmation di Philippe Caland. Esperta di discipline orientali, nelle masterclass insegna anche tecniche per contenere ansia e stress: «Utilizzo soprattutto il pranayama, il controllo del respiro, che aiuta a equilibrare lato maschile e lato femminile, presenti in ognuno di noi». A proposito: il piano è uno strumento per uomini come dicono, al contrario del violino? «No. È a percussione, ha martelli, ma pure di corde che vibrano all’unisono dell’anima».
Beatrice Rana
Nessuno strumento-giocattolo nell’infanzia della leccese Beatrice Rana, 24 anni. «I miei genitori sono pianisti, ho sempre avuto a che fare con quelli veri. Ho iniziato a studiare a 4 anni, ma con il metodo Yamaha per cui la musica è un gioco. A 9 sono entrata al Conservatorio. Il pianoforte è stato sempre un alleato, mai un nemico: qualunque cosa succeda, posso rifugiarmi lì. Quando ho bisogno di chiarezza mi metto a suonare Bach, se sono felice Schumann, se mi sento ingestibile Rachmaninov. Quando passo alle mazurche di Chopin, butta proprio male… Mi è sempre stato più facile esprimermi con le note che a voce». E a soli 18 si è rivelata al mondo vincendo il prestigioso Concorso di Montreal. Ospite di orchestre internazionali, reduce dal successo del cd con le Variazioni Goldberg, neppure lei ha l’aria della “vestale del piano”. «Uso parecchio Facebook e Twitter, un po’ per rimanere in contatto con chi incontro nei tour, un po’ per mostrare la vita di una ragazza normale che però, alla sera, tiene concerti. La gente spesso è intimidita, ci sono da sfatare i pregiudizi che la classica sia vecchia, stantia, da museo. All’estero si producono più spettacoli pensati per bambini e ragazzi che si annoierebbero a morte a un concerto di due ore». Artista di riferimento? «Martha Argerich: ha aperto la strada a tutte noi, per quanto in altri ambiti musicali le figure maschili (è il caso dei direttori d’orchestra) restino predominanti. Non credo però ci sia un modo di suonare diverso a seconda del genere. Io ho movimenti ridotti ed essenziali, c’è chi lo trova poco femminile. In compenso, Lang Lang si muove un sacco… Si tratta di stereotipi».
Leonora Armellini
Leonora come la protagonista del Trovatoredi Verdi? «No. Leonora come nel Fidelio. Mio fratello (violoncellista), non a caso si chiama Ludovico… I nostri genitori si sono conosciuti grazie a un concerto di Beethoven». Leonora Armellini, venticinquenne, è figlia d’arte: madre pianista, padre fagottista e direttore del Conservatorio di Padova. «Ma non hanno mai voluto darmi lezioni: a quattro anni mi hanno mandato da un insegnante perché sentissi l’autorità e non facessi capricci». Addirittura prima di iniziare il Conservatorio, Leonora era già in tv: nel 2000 ha partecipato a Bravo bravissimo, la trasmissione di Mike Bongiorno. «Da bambina vivevo tutto in modo incosciente». Fine dell’età dell’incoscienza, però, nel 2010, con la vittoria del Premio Janina Nawrocka al concorso Chopin di Varsavia. E quando è tornata sul piccolo schermo, nel 2013, l’occasione era da far tremare. «Mi hanno chiamato all’ultimo minuto al festival di Sanremo per sostituire un mito: Daniel Barenboim. Ho avuto il coraggio di mettermi in gioco, l’unico modo per crescere». Una ragazza con le idee chiare anche sull’attuale boom delle pianiste: «Non è che gli uomini siano di meno, è che noi abbiamo preso coscienza di possibilità e obiettivi. Senza troppe rinunce: la musica è vita, se non hai esperienze cosa comunichi? Certo, in alcuni periodi suono otto ore al giorno, ma come accade agli studenti universitari. Non intendo rinunciare né alla carriera né all’idea di creare una famiglia». Anticonvenzionale, ha già scritto un libro, arrivato a tre edizioni: Mozart era un figo, Bach ancora di più (Salani). «Una provocazione per cercare di avvicinare alla classica i giovani».
Vanessa Benelli Mosell
Suona in pubblico – senza avere musicisti in famiglia – da quando ha quattro anni e a tredici si era già esibita in sale come il Lincoln Center di New York. Ma la trentenne pratese Vanessa Benelli Mosell («Mosell è il cognome di mia madre») non ha dubbi sul momento che le ha cambiato la vita: l’incontro con il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen, nel 2006. «Ha lasciato un segno indelebile con il crearsi un mondo musicalmente suo, pieno di fantasia, di effetti speciali, diverso da qualunque altro. Una volta mi ha detto: “Vanessa, hai il nome di una farfalla che vuole volare via, ma io ti acchiappo!”. E così è stato: sono felice di aver mantenuto la promessa di incidere i suoi Klavierstücke. Quando programmo un recital, mixo il linguaggio classico, romantico con il contemporaneo: mi riempie di gioia presentare brani poco conosciuti, eseguiti in genere solo in festival specialistici per un pubblico elitario, assieme ai “tormentoni” che tutti amiamo”». Appassionata di design, architettura e – curioso – energie rinnovabili, molto attenta all’immagine («Oggi è diventato un obbligo, come l’uso dei social»), Vanessa – che si è stabilita a Parigi – si muove seguendo un motto ottimista: “Tutto accade per il meglio”, imparato al Conservatorio di Mosca. «Nei tre anni là ho studiato 12 ore al giorno: il mio divertimento era sorprendere i miei insegnanti».E, fra le prossime sorprese, potrebbe esserci la direzione. «Sarebbe bellissimo! Già da piccola mettevo i cd nello stereo di casa e passavo le serate “dirigendo”. Era la mia passione. Nel pianoforte ritrovo quell’orchestra, quella densità sonora e varietà timbrica».
Fonte articolo: Iodonna.it